martedì 15 maggio 2007

Richard Menary - “Attacking the Bounds of Cognition”

Richard Menary,
“Attacking the Bounds of Cognition”,
Philosophical Psychology, Vol. 19, n. III, giugno 2006


riassunto dell'articolo che mi sembra completo, chiaro e ben struturato.


Introduzione

Menary vuole contrastare gli attacchi recentemente mossi (A&A, Rupert) contro una ridefinizione dei confini della cognizione (Clark). Menary ritiene che l’ipotesi della mente estesa sia parte di un progetto più radicale che chiama “integrazione cognitiva”, cioè l’idea che veicoli e processi interni ed esterni siano integrati in un tutto.



Cos’è l’integrazione cognitiva

L’integrazione cognitiva sposa le tesi seguenti:
  • Manipolazione
    Spesso l’agente porta a termine un “compito cognitivo” manipolando veicoli esterni nell’ambiente, in modo individuale o cooperativo. [Nome da M. Rowlands, The body in the mind, Cambridge, Cambridge University Press, 1999]
  • Mente ibrida
    La cognizione deve essere intesa come integrazione tra veicoli/processi interni e esterni
  • Trasformazione
    La nostra capacità di manipolare oggetti esterni è frutto di una trasformazione, un apprendimento, una pratica che abbiamo imparato a svolgere.
  • Norme cognitive
    La nostra capacità appresa di manipolazione di oggetti esterni è incomprensibile se non si tengono presenti le norme che sono imparate ad applicare (si pensi alle notazioni matematiche)

La tesi della manipolazione è quello più spesso sottoposta a critica da parte degli internalisti. Questi ultimo concedono che spesso la manipolazione di veicoli esterni come diagrammi o simboli matematici siano importanti nello svolgere compiti cognitivi ma non ritengono che essi costituiscano un processo cognitivo.

Ci sono tre classi di manipolazione:
  1. casi biologici di accoppiamento.
    Come fenotipo esteso o visione animata. (Ballard, Gibson, O’Regan & Noe)
  2. casi di azioni epistemiche.
    (Kirsh & Maglio, Clark)
  3. casi di pratiche cognitive.
    Forse il più importante. Algoritmi matematici. (Rumelhart & McClelland)
Le critiche degli internalisti si focalizzano solo sulla natura dei veicoli e processi esterni e non tengono sufficientemente conto della loro integrazione con quelli interni.


La “fallacia dell’accoppiamento costituzione”

A&A in “Defending the Bounds of Cognition” (vedi mia scheda) espongono questa fallacia che secondo loro viene commessa dalla maggior parte dei teorici della mente estesa.

Il fatto che X sia accoppiato a un agente cognitivo Y non implica che X sia parte dell’apparato cognitivo dell’agenteY. E’ invece la natura di X che determina se è cognitivo o meno. Le uniche entità che sono intrinsecamente cognitive sono i cervelli, quindi gli artefatti non sono parte della cognizione.

Questa conclusione, secondo Menary, è tratta però da una interpretazione semplicistica del Principio di Parità (Clark) che deve essere inteso più come una pompa di intuizione che come un argomento. Gli integrazionisti dovrebbero resistere all’immagine offerta dalla critica di A&A, poiché è essa stessa una forma residua di internalismo, dal momento che ipotizza l’esistenza di un agente cognitivo Y già formato e ben individuato prima dell’accoppiamento con X. L’agente Y sorge in virtù della manipolazione di X. Otto è un agente cognitivo in grado di ricordare proprio perché il suo blocco note forma un unico sistema insieme ai suoi processi interni.

Gli errori di A&A e di Rupert sono:
  • ritenere che con la tesi della manipolazione accoppi un artefatto ad un agente cognitivo preesistente;
  • ritenere che il principio di parità implichi una somiglianza tra processi interni ed esterni, che invece possono essere molto diversi.


La condizione del contenuto intrinseco

A&A affermano che un processo per essere considerato cognitivo deve contenere almeno qualche contenuto non-derivato, intrinseco. I veicoli esterni non hanno contenuto intrinseco, ma contenuto convenzionalmente determinato, quindi non possono essere cognitivi. C’è una chiara differenza tra stati cerebrali che sono intrinsecamente intenzionali e parole, immagini che hanno solo intenzionalità derivata. A&A continuano dicendo che esistono rappresentazioni mentali sia di oggetti naturali (come alberi e rocce), sia di oggetti sociali/artefatti (come parole, segnali stradali, ecc); entrambe queste rappresentazioni mentali non hanno contenuto convenzionale. Per esempio, i cerchi di Eulero hanno un significato convenzionale, ma la rappresentazione mentale che me faccio hanno un significato naturale, non convenzionale, come quello di un sasso.

Ma questa divisione tra significato naturale e convenzionale restringe in modo esagerato le operazioni cognitive che possiamo svolgere, infatti le operazioni nella nostra testa sui cerchi di Eulero non avrebbero il significato normalmente attribuitegli (dal momento che per A&A un significato convenzionale non può essere nella testa) e le operazioni sui cerchi di Eulero sulla carta non sarebbero cognitive (poiché si svolgono su significato convenzionale e non naturale secondo A&A).

Le cose non stanno chiaramente così, e sembra davvero una testardaggine rifiutare di accettare nel campo della cognizione tutta una serie di risorse che abbiamo imparato ad usare semplicemente perché illoro significato è stabilito in modo convenzionale.

Non sembra quindi che la distinzione intrinseco-convenzionale di A&A sia davvero utile; e l’integrazionista può tranquillamente affermare che i processi cognitivi si servono sia di veicoli con contenuto intrinseco sia di veicoli con contenuto convenzionale.


La scienza cognitiva estesa non è affatto una scienza

Secondo gli oppositori della tesi della mente estesa, i processi cognitivi basati sul cervello e gli strumenti esterni verrebbero a formare un insieme troppo disomogeneo e numeroso per formare l’oggetto di una seria indagine scientifica. Per esempio, nel caso di Otto, le sue presunte credenze potrebbero essere implementate in un vastissimo numero di media (notebook, CD, PC, ecc.) malgrado il loro ruolo funzionale simile.

Menary ritiene che qui c’è una confusione tra media e veicolo. La credenza è un veicolo. E il veicolo nel caso di Otto svolge lo stesso ruolo funzionale del veicolo biologico di Inga. [di nuovo in una visione funzionalista ci può essere una realizzabilità multipla].

L’integrazionista dovrebbe sostenere tranquillamente con A&A e Rupert che i processi cognitivi che utilizzano veicoli esterno sono effettivamente differenti da quelli che utilizzano solo veicoli interni (altrimenti perché dovremmo usare veicoli esterni?). Ma questo non significa che i processi con veicoli esterni non siano cognitivi o che formino un insieme troppo disomogeneo. Il modo in cui Otto usa il suo blocco note non è simile al modo in cui Inga usa la sua memoria biologica. Ma Otto e il suo blocco note formano un unico sistema cognitivo come Inga e la sua memoria biologica.

Conclusioni
  • L’integrazione cognitiva non sostiene una esternalizzazione di ciò che già c’è nella testa.
  • La manipolazione di veicoli interni è differente dalla manipolazione di veicoli esterni.
  • L’integrazione di veicoli esterni ed interni forma l’unità oggetto di studio della scienza cognitiva.
  • I veicoli esterni non vengono accoppiati a soggetti cognitivi già formati. Il soggetto nasce da tale accoppiamento.
  • La spiegazione del modo in cui vengono integrati veicoli esterni ed interni deve essere dinamica.
  • È importante spiegare come impariamo a manipolare veicoli esterni anche in accordo con norme cognitive.
  • L’integrazione cognitiva è un progetto più ampio della tesi della mente estesa.

Robert D. Rupert - “Representation in Extended Cognitive Systems: Does the Scaffolding of Language Extend the Mind?”

Robert D. Rupert,
“Representation in Extended Cognitive Systems: Does the Scaffolding of Language Extend the Mind?”.
In R. Menary (ed.), The Extended Mind, di prossima pubblicazione Ashgate.



L'articolo originale può essere scaricato qui.

Non tento un riassunto completo dell'articolo perché è molto lungo, piuttosto contorto e mi sembra che le idee fondamentali siano già presenti in “The Bounds of Cognition” di Adams & Aizawa, 2001 (vedi mia scheda) .


Alcuni autori come Dennett e Clark ritengono che l’uso del linguaggio, come un sistema di segni e suoni esterni all’organismo, creano menti che si estendono al di fuori dei confini dell’organismo umano.

Questa saggio vuole dimostrare che - malgrado il linguaggio influenzi notevolmente i nostri pensieri – non esistono basi convincenti per questa “language-based inference”.

Gli argomenti a favore della mente estesa si basano su una versione di ciò che chiamo “dependance reasoning”: se il pensiero (attività mentale, cognizione) dipende da un fattore X in qualche senso chiaro e forte, allora X è letteralmente una parte del sistema cognitivo del pensatore. [Cio che A&A chiamano “coupling-constitution fallacy”].
Ma questo modo di pensare suscita due perplessità:
  1. questo ragionamento basato sulla dipendenza non è affatto affidabile e le condizioni necessarie per farlo valere nel caso del linguaggio si dimostrano infondate;
  2. i sistemi cognitivi estesi formano un insieme troppo confuso per essere oggetto di scienza e presuppongono l’esistenza di sistemi cognitivi non estesi.

lunedì 14 maggio 2007

Robert A. Wilson - “Meaning Making and the Mind of the Externalist”

Robert A. Wilson,
“Meaning Making and the Mind of the Externalist”.
In R. Menary (ed.), The Extended Mind, Ashgate, di prossima pubblicazione.


(Riassunto dell'articolo)
L'originale può essere scaricato qui.


In questo articolo Wilson persegue due scopi:
  1. Riconcettualizzare il problema dell’intenzionalità alla luce della tesi della mente estesa.
  2. Offrire un nuovo argomento – chiamato “meaning making” in sostegno di tale tesi.


L’intenzionalità e la mente
Il problema dell’intenzionalità può essere riassunto così:
  • Esistono cose nel mondo che sembrano possedere una proprietà speciale, l’intenzionalità
  • Il problema dell’intenzionalità ha tre aspetti:
    1. che cosa è l’intenzionalità?
    2. quali cose possiedono intenzionalità e quali no?
    3. perché le cose che possiedono intenzionalità l’hanno proprio su una determinata cosa, perché proprio su quel tale contenuto?
Il problema dell’intenzionalità è stato molto dibattuto negli anni ’80, soprattutto all’interno di una visione naturalistica, cioè nel tentativo di fornirne una spiegazione in termini naturalisticamente accettabili; una spiegazione di intenzionalità grazie a nozioni a loro volta non intenzionali.
Teorie più diffuse: ‘informational semantics’ (Dretske), ‘causal theories of representation’ (Fodor), ‘biosemantics’ (Millikan).
Tra le cose che hanno intenzionalità troviamo sicuramente: linguaggio e pensieri. Ma anche segnali stradali, testi scritti, gesti, programmi di computer, ecc..
Sembra corretto affermare che tutta l’intenzionalità derivi dalla mente. Quindi la mente ha intenzionalità originale, le altre cose hanno un’intenzionalità derivata.
Wilson ritiene corretto ridurre tutto il problema dell’intenzionalità al problema dell’intenzionalità della mente, ma ritiene erroneo che in questo modo si riduce tutto a qualcosa che “sta nella testa”, poiché non è detto che tutto il mentale sia nella testa.


Esternalismo cognitivo e mente estesa
La posizione più comune nella breve storia della scienza cognitiva e in quella più lunga della filosofia della mente ritiene che la mente sia individuale, separata dall’ambiente fisico e sociale in cui la conoscenza avviene. I processi cognitivi non solo sono individuali, ma possono essere studiati come se l’individuo fosse l’unica cosa esistente al mondo [solipsismo metodologico di Fodor].
Questa prospettiva è stata rifiutata dagli esternalisti. Prime forme di esternalismo: argomenti di Putnam e Burge sull’adeguatezza di una visione individualistica della mente nello spiegare adeguatamente il significato o il contenuto mentale. Wilson chiama questo tipo: esternalismo tassonomico. Forme più recenti e radicali di esternalismo vengono chiamate:
  • ‘locational externalism’ da Wilson
  • ‘environmentalism’ da Rowlands
  • ‘extended mind thesis’ da Clark e Chalmers
Secondo queste forme di esternalismo i sistemi cognitive stessi si estendono al di là dei confini biologici degli individui e la psicologia individualistica può solo raccontarci una parte della storia: ‘the inside story’. Wilson ritiene che il suo wide computationalism (in Mind 103: 351-372 ) in è stato un primo tentativo in tale direzione. Tali forme di esternalismo sono radicali nel senso che:
  • Non si basano sulla differenza di contenuto di due stati intenzionali individuali; ma fanno appello alla natura stessa dei processi cognitivi che vengono ritenuti estesi nel mondo.
  • Non riguardano solo il modo in cui parliamo della mente, ma sono posizioni ontologiche su cosa è la mente.

Argomenti per la cognizione estesa

  • Argomenti riguardanti l’intenzionalità
    Quelli tradizionale di Putnam e Burge sul contenuto e quello che Wilson vuole proporre anche se quest’ultimopuò essre classificato anche all’interno di quelli sulla cognizione attiva.
  • Argomenti riguardanti la cognizione attiva
    Sono chiamati così perché fanno appello all’esercizio attivo delle capacità cognitive nel mondo reale (Clark, Haugeleand, Hurley, Rowlands, Wilson) e richiamano una serie di lavori nel campo della psicologia percettiva, da quelli di Ballare a quelli di Balalrd e O’Regan. Considerano fondamentale l’integrazione tra gli individui e il loro ambiente biologico e artificiale.
  • Argomenti riguardanti fantasie cyborg
    Dovuti principalmente a Clark, sono simili agli argomenti sulla cognizione attiva poiché ritengono che nell’esercizio delle capacità cognitive si stabilisce una sorta di loop causale che si estende al di là dell’individuo. Come non tutte le risorse usate per costruire un organismo sono genetiche (interne all’individuo), così non tutte le risorse (veicoli nella terminologia di Hurley e Rowlands) cognitive sono interne alla testa dell’individuo. Ma come quelli tradizionali di Putnam e Burge sono soprattutto delle ‘pompe di intuizione’; e immaginano di estendere le tecnologie attuali ad altre più futuristiche e più integrate nel corpo biologico dell’individuo. (Otto è il più conosciuto cyborg)



L’argomento che si basa sul “meaning making”
  1. Le menti sono macchine intenzionali o motori semantici.
  2. Le macchine intenzionali o i motori semantici rilevano e creano significato.
  3. La rilevazione e la creazione di significato implicano l’integrazione di risorse cognitive interne e esterne. [l’internalista non lo concederebbe]
  4. Le risorse cognitive interne sono parte della struttura della macchina intenzionale che rileva e crea significato.
  5. Le risorse cognitive esterne spesso giocano un ruolo funzionale identico o simile alle risorse cognitive interne nel rilevamento e nella creazione di significato. [l’internalista non lo concede]. Quindi,
  6. Le risorse cognitive esterne, come quelle interne, sono parte della struttura delle macchine intenzionali che rilevano e creano significato.
  7. La tesi della mente estesa è vera.
Poiché le premesse (c)-(e) sono simili a quelli di altri argomento esternalisti meritano una più attenta discussione.

Significato, risorse esterne, fondamentalità
L’argomento del “meaning making” può essere contraddetto in tre punti:
  1. Si potrebbero negare che le prime due premesse e ritenere che le menti non elaborano azioni o entità nel mondo
  2. La nozione di risorsa cognitiva esterna potrebbe essere considerata un ossimoro poiché le risorse cognitive sono sempre interne.
  3. Anche accettando i due punti precedenti si potrebbe sempre ritenere che sussista un’asimmetria tra risorse interne e esterne.

  1. La prima premessa rappresenta una petizione di principio?
L’idea che le menti siano macchine semantiche viene largamente accettata all’interno della comunità degli scienziati cognitivi. Stringhe sintattiche codificano rappresentazioni mentali che sono realizzate fisicamente nel cervello. Per i connessionisti che non sono eliminativisti sulle rappresentazioni mentali, si potrebbe dire che esse sono non proposizionali, subsimboliche o distribuite. Ma sia nella forma tradizionale sia nella forma connessionista, viene affermato che malgrado sussistano delle relazioni causali tra mondo e cervello, il significato è tutto interno alle menti, è intrinseco.
Wilson ritiene che tali concezioni sul significa e sulle rappresentazioni siano errate, ma qui si tratta di verificare se la prima premessa rappresenta una petizione di principio a favore della mente estesa. Secondo Wilson no, perché le premesse (a) e (b) possono essere interpretate in un modo neutrale rispetto a come operano le rappresentazioni mentali. Tutto ciò che deve essere concesso è:
  • Gli agenti hanno qualche tipo di rappresentazione mentale che giocano un ruolo nella percezione e nel comportamento.
  • Quali che siano tali rappresentazioni mentali, siano esse tutte nella testa o no, spesso sono provocate e provocano azioni, eventi e oggetti che non sono limitate alla testa.

  1. “Risorsa cognitiva esterna” è un ossimoro?
All’interno della filosofia della biologia negli ultimi due decenni c’è stato uno spostamento da una concezione prevalentemente centrata sui geni verso una concezione basata sulla teoria dei sistemi che si sviluppano (Developmental systems theory o DST)(Oyama), L’idea centrale della DST è che i geni sono solo una delle risorse dei sistemi che si sviluppano e quindi non devono essere considerati epistemologicamente o ontologicamente più fondamentali delle altre. Wilson propone che come è possibile estendere la DST a comprendere risorse esterne all’organismo così è possibile estendere la cognizione a comprendere risorse esterne all’individuo.


  1. Le risorse interne sono più fondamentali di quelle esterne?
Poiché il cervello è sempre necessario per l’attività cognitiva sia in collaboraione del mondo che senza di esso, mentre non è necessario che il mondo sia sempre presente, si potrebbe affermare che l’esternalismo è falsificato da questa asimmetria tra risorse interne ed esterne. Certo l’attività del cervello è sempre necessaria, ma questo non rende l’asimmetria sempre valida, in molti compiti cognitivi anche il mondo il necessario. Wilson fa due esempi: il bonobo Kanzi (integrazione di risorse simboliche) e la risoluzione di un puzzle (integrazione di risorse non simboliche). Importanza della società.


Ripensare il problema dell’intenzionalità
L’esternalismo ci permette una migliore concettualizzazione del problema dell’intenzionalità in almeno tre modi:
  1. Ampliando il concetto di rappresentazioni mentali sia a risorse interne che a risorse esterne, in realtà la tesi della mente estesa dissolve il problema delle caratteristiche essenziali del mentale.
  2. La tesi della mente estesa sposando una visione attiva della cognizione, sposta l’attenzione da ‘cose’ come le rappresentazioni ad ‘attività’, come l’atto del rappresentare, dal momento spesso motorie, corporee, e nel mondo.
  3. Quindi non cerchiamo più l’essenza delle rappresentazioni e ci focalizziamo sulle attività, ma la metodologia più appropriata in questo compito non è la tradizionale analisi concettuale ma un’indagine pluridisciplinare

venerdì 11 maggio 2007

"Seconda Natura?" - Seminario con Diego Marconi

Oggi, venerdì 11 maggio 2007 ho partecipato alla lezione/seminario che il prof. Diego Marconi ha tenuto all'Università Roma Tre all'interno del ciclo "Naturalismo e natura umana".

Diego Marconi ha illustrato alcune difficoltà presenti nel concetto di seconda natura di McDowell.

Carlo Cellucci - “Mente incarnata e conoscenza”

Carlo Cellucci,
“Mente incarnata e conoscenza”,
in Eugenio Canone (ed.), Per una storia del concetto di mente, Olschki, Firenze 2005, pp. 383-410.

Riassunto del capitolo.
Originale scaricabile qui.


L’invenzione della mente

La mente non è sempre esistita ma è stata inventata. Come afferma Putnam, sebbene i termini ‘mente’ o ‘anima’ abbiano una lunga storia, l’abitudine a identificare nozioni piuttosto differenti con l’attuale nozione di mente è un fatto piuttosto recente.

Sebbene sia difficile identificare chi abbia per primo introdotto il concetto di mente, è indubbio che al consolidamento dell’attuale concetto e alla sua affermazione nell’età moderna e contemporanea abbia contribuito in modo sostanziale Descartes. Egli vi ha contribuito con la nettezza delle sue formulazioni sulla natura rispettiva di mente e di corpo. Ma Descartes non riesce a dare una spiegazione plausibile di come la mente possa ad un tempo essere realmente distinta dal corpo e sostanzialmente unita ad esso.

L’invenzione della mente ha avuto importanti riflessi sul modo di intendere la conoscenza. Essa, infatti, ha portato a concepirla come un processo che si svolge interamente nella mente, a cui quindi il corpo, e in particolare le sue capacità sensoriali e motorie, non concorrono in alcun modo. Inoltre ha portato a concepirla come un processo che si basa solo sulle idee o rappresentazioni della mente, e che anzi ha per oggetto tali idee o rappresentazioni.


Il funzionalismo

La concezione della mente delineata da Cartesio ha una profonda influenza anche nella filosofia contemporanea, per esempio nel funzionalismo.

Pur rifiutando il dualismo cartesiano, la descrizione del mentale in termini puramente funzionali, indipendente da qualunque descrizione in termini fisici lascia trasparire questa influenza.

Cellucci utilizza Putnam e Fodor per illustrare l’autonomia della psicologia dalla fisica e dalla chimica, il concetto di descrizione funzionale e di realizzabilità multipla, l’importanza delle rappresentazioni mentali e della loro elaborazione. [Mi sembra che in un paio di occasioni calchi un po’ troppo la mano, facendo trasparire un’accusa di reale dualismo].


Mente disincarnata e conoscenza disincarnata

Il concetto di mente che Descartes ha contribuito in modo decisivo a consolidare e ad
affermare sta anche alla base della concezione della conoscenza disincarnata, secondo cui la
conoscenza è un processo interamente mentale, interno, che si basa sull’elaborazione di idee o rappresentazioni. Cellucci parlerà di mente disincarnata intendendo anche conoscenza disincarnata.
Difficoltà sostanziali di tale concezione:
  1. Il pensiero umano non può essere separato dal mondo, poiché noi siamo in grado di pensare e operare nel mondo solo in quanto ne siamo parte. Il conoscere il mondo da parte della mente non è un uscire da suo interno per rientravi portandovi un bottino raccolto nel mondo esterno
  2. Il corpo svolge un ruolo fondamentale nel pensiero, e in particolare nella conoscenza. Molti aspetti del pensiero e della conoscenza umana dipendono dal tipo di corpo che abbiamo e dalle sue capacità sensoriali e motorie, e non sono spiegabili senza riferirsi al loro modo e tipo di essere.
  3. Le emozioni svolgono un ruolo fondamentale nel pensiero umano, e in particolare nella conoscenza umana, anche come allocatrici di risorse limitate.
  4. Se la conoscenza è un processo che ha per oggetto le rappresentazioni della mente, allora la mente è come uno spazio interiore in cui essa, quando conosce, considera ciascuna delle rappresentazioni che ha in sé. Ma assumere questo equivale ad assumere che dentro di noi vi sia qualcuno capace di interpretare tali rappresentazioni. [Non è chiaro perché Cellucci non accetta la soluzione di dennettiana dello scaricamento progressi degli omuncoli]
  5. Una rappresentazione può non corrispondere all’oggetto che la ha attivata, cioè all’oggetto che, attraverso gli organi di senso, ha immesso nella mente qualcosa che ha fornito alla mente l’occasione di formare quella rappresentazione. Problema della semantica delle rappresentazioni mentali. Problema della disgiunzione e non accettazione della dipendenza asimmetrica di Fodor.


Mente incarnata e conoscenza incarnata

Tutte queste difficoltà, e altre ancora che si potrebbero sollevare, mostrano a sufficienza che la concezione della mente disincarnata è insostenibile. Essa deve essere sostituita dalla concezione della mente incarnata, secondo la quale la mente consiste semplicemente di certe capacità del corpo, tra cui sono comprese anche le capacità sensoriali e motorie.

Dal punto di vista della concezione della mente incarnata, parlare di mente non è dunque altro che un modo abbreviato di riferirsi a certe capacità del corpo. E, poiché tra queste sono comprese anche le capacità sensoriali e motorie, la mente non risiede nella testa ma coinvolge l’intero corpo. Le capacità sensoriali e motorie sono essenziali per la conoscenza, che si è evoluta per favorire l’azione efficace dell’organismo nel suo ambiente e non per la contemplazione.

Per far vedere come la concezione della mente incarnata non sia un’assoluta novità, Cellucci cita alcuni passi di Aristotele e Hobbes che sottolineano l’assoluta inscindibilità dell’anima e del corpo e l’importanza della sensibilità corporea. Ma nonostante la presenza di un (disorganico) filone di pensiero alternativo nella filosofia da Certesio al funzionalismo la concezione dominante è stata quella della mente disincarnata.

Implicazioni della concezione della mente incarnata che mostrano una radicale divergenza con la concezione cartesiana di mente disincarnata:
  1. Le capacità sensoriali e motorie sono presenti anche in organismi molto semplici, quindi il mentale non è qualcosa che segna una discontinuità tra uomini e altri organismi.
  2. Le capacità sensoriali e motorie si basano su processi mentali inconsapevoli, quindi non tutto il mentale è consapevole.
  3. Le capacità sensoriali e motorie sono veicoli delle emozioni. Spesso le emozioni in un organismo nascono quando si ricevono segnali di un certo tipo attraverso i recettori sensoriali, e si manifestano attraverso movimenti muscolari, ne segue che il mentale non è spassionato ma è legato alle emozioni.
Secondo Cellucci la concezione di mente e conoscenza incarnata si oppone al carattere soggettivistico presente nella maggior parte della tradizione della filosofia contemporanea da Cartesio a Husserl alla filosofia analitica.


Mente e processi esterni al corpo

Secondo la concezione della conoscenza incarnata, la conoscenza è un processo che si basa su certe capacità del corpo, tra le quali sono comprese anche le capacità sensoriali e motorie, che permettono agli uomini di integrare oggetti esterni nei propri processi cognitivi. Tali processi esterni alla mente non sono di tipo biologico, bensì di tipo, per così dire, tecnologico, cioè
comportano l’uso di strumenti tecnici, e cooperano con i processi interni alla mente formando
con essi un sistema conoscitivo integrato.
Cellucci cita Mithen per sostenere una tesi simile a quella di Donald (vedi mia scheda) sull’importanza dello sviluppo da parte del homo sapiens della capacità di servirsi di ‘esogrammi’ per produrre il grande balzo avanti verificatosi circa 50.000 anni fa. Balzo che ha dato un enorme impulso alla cultura materiale e ha reso possibile il sorgere del pensiero razionale, teoretico, analitico.
Alcuni esempi di sistema conoscitivo integrato:
  1. Scrittura.
  2. Dimostrazioni di geometria elementare.
  3. Lunga moltiplicazione
  4. Uso di simboli algebrici [Peirce, icona]
  5. Diagrammi, elenchi, schemi nelle dimostrazioni logiche

Il sistema mente-mondo

Secondo Butterworth, il nostro cervello matematico contiene due elementi: un modulo numerico innato e la nostra capacità di usare gli strumenti matematici forniti dalla nostra cultura.

I processi esterni alla mente non sono meri input percettivi o stimoli per una mente disincarnata, ma sono una componente essenziale del sistema conoscitivo. Come il bastone del cieco è parte integrante del modo in cui il cieco percepisce il mondo, così i processi esterni alla mente sono parti integranti del modo in cui gli uomini pensano, conoscono e agiscono. I processi conoscitivi hanno, quindi, un carattere distribuito, poiché comportano sia una componente interna alla mente sia una componente esterna ad essa. Per produrre conoscenza, l’informazione deve essere coordinata tra queste due componenti. Il soggetto conoscitivo non può essere identificato con la mente, ma deve essere identificato piuttosto col sistema formato dalla mente più processi esterni ad essa.

Cellucci accetta la tesi di Clark (vedi mia scheda su Natural-Born Cyborgs) sulla natura ibrida della nostra mente, come formata da parti biologiche e parti tecnologiche, esterne. E’ la plasticità della nostra mente, la sua capacità a cooptare processi esterni che ci rende particolari.

Il pensare tra sé dà l’impressione che il pensiero astratto sia un’attività del tutto interna alla mente, ma non è così. Il pensiero astratto non sarebbe possibile senza un rapporto della mente con processi tecnologici esterni, e il pensare tra sé è soltanto l’interiorizzazione di tale rapporto.

.

Andy Clark - “Memento's Revenge: The Extended Mind, Extended”

Andy Clark,
“Memento's Revenge: The Extended Mind, Extended”.
In R. Menary (a cura di), The Extended Mind, Ashgate, di prossima pubblicazione.
(scheda dell'articolo)

L'articolo originale può essere trovato qui.

Leonard, l'eroe del film Memento, soffre di amnesia anterograda e non può crearsi nuove memorie. Usando tatuaggi, polaroid, appunti, ecc. riuscirà a comportarsi in modo quasi normale e raggiungere i suoi scopi?

Clark, come Leonard, pensa che non tutte le credenze di una persona devono necessariamente trovarsi nella sua testa.
In questo saggio ritorna sulla sua teoria esposta insieme a Chalmers nel 1998 (vedi mia scheda) e cerca di difenderla contro le obiezioni che
  1. insistono sulla differenza tra il (presunto) contenuto intrinseco dei simboli neurali e il contenuto meramente derivato delle iscrizioni esterne;
  2. pretendono di demarcare i domini scientifici tramite specie naturali;
  3. alludono ad un luogo ultimo in cui si svolge il controllo dell'agente;
  4. sottolineano una differenza tra percezione e introspezione.

Tetris e Otto
Clark riassume i due casi di studio proposti nell'articolo originale, con qualche piccolissima variazione e qualche migliore specificazione. Ribadisce le differenze tra il suo esternalismo e quello di Putnam. Ribadisce la differenza tra mentale e cosciente e quindi concede che gli stati mentali coscienti siano solo quelli nella testa, ma che nulla impedisce a processi mentali inconsci di svolgersi fuori della testa. Riafferma i criteri che i candidati non biologici all'inclusione nel sistema cognitivo di un individuo devono soddisfare:
1. la risorsa deve essere sicuramente disponibile e normalmente usata;
2. l'informazione così recuperata deve essere accettata più o meno automaticamente;
3. le informazioni devono essere facilmente accessibili quando necessarie.
Un'obiezione apparentemente plausibile già affrontata e su cui Clark ritorna è quella che afferma che
“Otto crede solo che il suo blocco note contiene l'indirizzo. Quindi questa credenza (passo 1), lo porta a guardare nel blocco (passo 2) e quindi si forma la credenza che il MOMA è nella 53rd street.”.
Ma lo stesso si potrebbe dire di Inga, “Ella crede che nella sua memoria c'è l'indirizzo (passo 1), la sua memoria le fornisce l'indirizzo (passo 2) e ...”. Perché, giustamente, ci rifiutiamo di complicare le cose in questo modo con Inga? Perché ci rifiutiamo di parlare di credenze sulla memoria? Perché lei la usa in modo trasparente; e lo stesso potrebbe avvenire per Otto, quando il suo blocco diventa una sua seconda natura.
[Questa osservazione, per quanto possa osservare forzata, mi sembra molto importante e va nella stessa direzione di Merlin Donald e Donald Malcom. Di nuovo il problema fondamentale delle tecnologie è quello delle interfacce, della loro trasparenza!]


Contenuto Intrinseco

Viene riesposta la tesi sostenuta da A&A in The Bounds of Cognition (vedi mia scheda) sulla differenza tra contenuto intrinseco, non-derivato degli stati neuronali e contenuto derivato, convenzionale dei media esterni. Mentre A&A ritengono che per essere considerato parte del processo mentale di un individuo, una entità o un processo devono avere contenuto intrinseco, Clark ritiene di no (ammesso che esista qualcosa come il contenuto intrinseco).

Segue l’analisi del caso di qualcuno che pensa ai diagrammi di Venn. Secondo Clark dovrebbe rappresentare un caso di contenuto genuino, non-derivato, ma convenzionale; cosa che compromette la solidità concettuale del contenuto intrinseco.

Infine Clark accusa A&A di vacuità, dal momento che asseriscono “… non è ben chiaro in che misura ogni stato cognitivo di ogni processo cognitivo deve implicare contenuto non-derivato”. Cosa che secondo lui mette fine alla discussione.


Tipologie scientifiche e somiglianza funzionale

In questa sezione Clark cerca di contrastare l’accusa di A&A in “The Bounds of Cognition” che l’ipotesi transcranica raccolga sotto l’etichetta di ‘cognitivo’ una moltitudine di cose che hanno poco in comune dal punto di vista dei sottostanti processi causali. Dopo alcune affermazioni di scarso conto e che mi sembra lascino il tempo che trovano, Clark arriva al punto – a mio avviso –importante. Non è importante che i processi di Otto e Inga siano identici o simili, in termini di implementazione; quello che conta è il loro ruolo funzionale, il modo in cui l’informazione guida il ragionamento e il comportamento. Ciò che conta è il ruolo sistemico. Questo è funzionalismo e non comportamentismo. [realizzabilità multipla e funzionalismo]

Sul controllo

Butler [Internal Affairs: A Critique Of Externalism In The Philosophy Of Mind. Dordrecht, Kluwer. 1998] sostiene che sebbene elementi esterni possano partecipare ai processi di controllo e scelta, in fin dei conti è sempre il cervello biologico a dire l’ultima parola.

Questa preoccupazione lascia intendere che Butler, come gran parte degli oppositori della teoria della mente estesa, è in qualche modo ancora prigioniero dell’idea che esista all’interno della testa una ultima “stanza dei bottoni” con cui identificare il proprio sé. Ma restringere il proprio sé a tale luogo privilegiato da una parte metterebbe su uno stesso piano sia i blocco note di Otto sia il normale sistema di memoria a lungo termine, dall’altra separerebbe l’identità personale dell’agente dall’intero corpo delle sue memorie e attitudini disposizionali che guidavano il comportamento.

Percezione e sviluppo

Un’obiezione che Butler e altri fanno è che Inga usa l’introspezione mentre Otto la percezione per recuperare le proprie memorie.
Ma secondo Clark i processi interbi di Otto e il suo blocco note costituiscono un unico esteso sistema cognitivo e rispetto a questo sistema, il flusso d’informazione è completamente interno e funzionalmente simile all’introspezione. Anche le possibilità di errore di Otto o di Inga sono da questo punto di vista più simili di quanto a prima vista si potrebbe pensare.


Percezione, inganno e spazio conteso

Kim Sterelny [Prossima pubblicazione “Externalism, Epistemic Artefacts and the Extended Mind” R Schantz (ed) The Externalist Challenge: New Studies on Cognition and Intentionality (de Gruyter, Berlin and NY)] ha avanzato un’osservazione interessante, che però non indebolisce la prospettiva della mente estesa.

Sterelny concorda sul fatto che spesso gli uomini si servono di strumenti epistemici che operano in uno spazio aperto e conteso, ma questo significa che le possibilità di inganno e sabotaggio sono sempre in agguato e quindi il carico computazione sui nudi cervelli viene in realtà accresciuto dal momento che si deve tener conto di tale possibilità. Sotto la guaina biologica, sostiene Sterelny, l’informazione fluisce all’interno di una comunità di parti cooperanti la cui affidabilità è stata selezionata dall’evoluzione, ma quando ci affacciamo alla superficie le cose cambiano drasticamente; i sistemi percettivi sono ottimizzati per i loro compiti, ma devono tener conto del fatto che i segnali su cui si basano provengono da uno spazio pubblico popolato da organismi che spesso hanno interesse a nascondere la loro presenza, ingannare, manipolare per accrescere la loro possibilità di sopravvivenza. I sistemi percettivi operano in un ambiente pieno d’inganni e quindi devono sviluppare strategie per evitare tali inganni e manipolazioni.

Secondo Clark il punto di Sterelny è interessante ma andrebbe rovesciato; le possibilità d’inganno nascono proprio dal fatto che normalmente trattiamo l’ambiente come una fonte stabile e affidabile di informazione che può sostituire gli ambienti interni nella maggior parte dei casi.

Fred Adams & Ken Aizawa - “Defending the Bounds of Cognition”

Fred Adams & Ken Aizawa,
“Defending the Bounds of Cognition”.
In R. Menary (ed.), The Extended Mind, di prossima pubblicazione Ashgate.
(scheda dell'articolo)

Articolo originale può essere trovato qui.

L'errore di Clark è quello di ritenere che la natura del veicolo/processo esterno usato da un agente non abbia alcun valore, l'unica cosa che conta per lui è il modo in cui interagisce con l'agente cognitivo.

Quando Clark rende un oggetto cognitivo connettendolo ad un agente cognitivo, commette un errore definibile come “fallacia della costituzione-accoppiamento” (coupling-constitution fallacy). Se siete accoppiati al vostro blocco note in modo tale da usarlo spesso, facilmente e in modo affidabile, Clark conclude che allora esso fa parte della vostra memoria.
Eppure le relazioni di accoppiamento sono distinte dalle relazioni costitutive; il fatto che un oggetto o un processo X è accoppiato con un oggetto o processo Y non implica che X fa parte di Y.

Ma se l'accoppiamento non ci aiuta a stabilire se un oggetto/processo è cognitivo, cosa ci servirà? La sua natura! Come in “The Bounds of Cognition” (vedi mia scheda), A&A cercano di rintracciare “il tratto distintivo del cognitivo”. Il fatto di essere accoppiato a qualcosa di cognitivo non rende qualcosa cognitivo. Questo è un errore in cui tutti i teorici della mente estesa incorrono facilmente. (A loro discolpa si deve sottolineare che nella psicologia cognitiva contemporanea non è ben definito cosa sia il cognitivo.)
In “The Bounds of Cognition”, A&A avevano affermato:
"La cognizione è costituita da un certo tipo di processi causali che implicano contenuto non derivato"
A&A ritengono che Clark non ha compreso cosa intendono dire dicendo che la cognizione è una sorta di processo causale implicante contenuto non derivato. Clark
  • non ha fornito una risposta alla fallacia della costituzione-accoppiamento
  • non specifica cosa secondo lui distingue il cognitivo dal non-cognitivo.


La condizione del contenuto intrinseco

Questa sezione è tutto in polemica con “Memento’s Revenge” di A. Clark (vedi mia scheda).

Come prima cosa A&A giustificano perché avevano affermato in “The Bounds of Cognition” che “… non è ben chiaro in che misura ogni stato cognitivo di ogni processo cognitivo deve implicare contenuto non-derivato”. Sia uno stato cognitivo con esclusivo contenuto rappresentazionale, sia uno stato cognitivo con stato rappresentazionale più altro non rappresentazionale può soddisfare la loro prima condizione sulla necessità di contenuto intrinseco (però, appunto, non si sa in quale misura i due devono essere presenti). Quindi rifiutano l’accusa di vacuità rivolta loro da Clark, dal momento che è chiaro che ritengono che se un processo non comporta un contenuto intrinseco allora non è cognitivo.

C’è una importante distinzione tra stati cerebrali che hanno intrinsecamente contenuto e parole o immagini che hanno il loro contenuto solo in forza delle convenzioni sociali.

Infine per opporsi a quanto sostenuto da Clark in Memento’s Revenge, A&A affermano che esistono rappresentazioni mentali sia di oggetti naturali come alberi o pietre, sia di parole o segnali stradali. E benché il significato delle parole o dei Diagrammi di Venn sia determinato convenzionalmente, le immagini mentali delle parole o dei Diagrammi di Venn acquistano il loro significato in base a qualche condizione naturalistico come tutte le altre immagini mentali.

La condizione del processo causale

A&A affermano che questa condizione era stata avanzata per due scopi:
  • sottolineare le differenze tra processi cerebrali e processi extracerebrali
  • sottolineare il rischio di raccogliere cose molto differenti sotto l’unica etichetta “scienza del cervello-strumenti”

A&A cercano di contrastare le posizioni di Clark sulla possibilità di trovare qualche livello di descrizione che renda possibile raccogliere sotto un’unica specie i differenti processi cognitivi che si verificherebbero nell’ipotesi esternalista.

Conclusione

I problemi della posizione esternalista indicate in “The Bounds of Cognition” restano tali. Manca una sufficiente attenzione
  • alla differenza tra processi cognitivi e processi non-cognitivi
  • ai rischi della fallacia della costituzione-accoppiamento.

domenica 6 maggio 2007

Daniel C. Dennett - “Making Tools for Thinking”

Daniel C. Dennett
“Making Tools for Thinking”,
in Dan Sperber (ed.), Metarepresentations: A Multidisciplinary Perspective, Oxford US, 2000


Non tento un riassunto completo, annoto molto superficialmente alcune osservazioni che possono essermi utili.
Il testo originale può essere trovato qui.

Dennett inizia affermando che ancora non sappiamo bene che cosa intendiamo con rappresentazione e quindi anche con meta-rappresentazione. E’ stato influenzato da Clark, Being There e da Mithen, The Prehistory of the Mind.

Sembrano abbastanza chiari i due estremi in cui potremmo collocare l’intera varietà di rappresentazioni. Ma le distinzioni di tipi tra questi estremi sono tutt’altro che facili da individuare.
  • Nell’estremo basso, povero, ci potrebbero esser quegli stati mentali o percettivi che servono agli organismi per guidare il loro comportamento (il leone che vede la preda), quegli stati che Brooks rifiuta di chiamare “rappresentazioni”, quella specie di struttura di dati della GOFAI.
  • All’altro estremo, quello alto, ricco, ci sono quello che di solito chiamiamo meta-rappresentazioni, rappresentazioni pienamente sviluppate, consapevoli, deliberate.

Dennett suggerisce che la strada che porta dalle quasi rappresentazioni alle meta rappresentazioni potrebbe essere una strada che va dall’esterno all’interno, dalla manipolazione di oggetti nel proprio ambiente (e ovviamente del proprio corpo) alla creazione di rappresentazioni sempre più consapevoli. Il modo in cui i bambini e in cui gli animali si familiarizzano con gli oggetti, con il proprio corpo, potrebbe svolgere un ruolo cognitivamente propedeutico. L’inizio potrebbe essere l’incontro e la manipolazione di oggetti, artefatti, parole che da un uso esterno, sociale, vengono poi portati verso l’interno. E la parola è senz’altro uno strumento enormemente efficace per costruire e per pensare. Certo c’è sempre la possibilità che la capacità di imparare a parlare, ad attribuire stati cognitivi agli altri individui, sia una capacità totalmente iscritta nei geni degli uomini.

sabato 5 maggio 2007

Lezione di Roberto Cordeschi

Mercoledì 2 maggio 2007 ho seguito la lezione svolta dal prof. Roberto CORDESCHI su
Il metodo dei modelli tra Scienza Cognitiva e Intelligenza Artificiale”,
all'interno del ciclo "Mente-corpo e comportamento nella storia del pensiero
moderno, da Darwin alla scienza cognitiva del XX secolo", organizzato dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata".

All'interno di una lezione molto introduttiva all'argomento, Cordeschi ha messo in guardia contro la tendenza ad un uso eccessivo delle metafore nel caratterizare le varie posizioni, e ha invece sottolineato la necessità di basarsi sulla costruzione di modelli.

Fred Adams & Ken Aizawa - “The Bounds of Cognition"

(scheda dell'articolo)

Fred Adams & Ken Aizawa,
“The Bounds of Cognition”, Philosophical Psychology,
Vol. 14, n. I, 2001



Introduzione

Talvolta gli uomini si servono di strumenti o processi esterni per facilitare i propri compiti cognitivi, come quando usiamo carta e penna per fare una moltiplicazione tra due numeri con molte cifre.
A&A mettono a paragone il modo in cui il senso comune interpreta queste situazioni e il modo in cui alcuni filosofi complicano inutilmente le cose.
  • Questi strumenti, come carta e penna, ci permettono di aggirare, superare, i limiti delle nostre capacità cognitive cerebrali.
  • Questi strumenti e questi processi esterni insieme ai nostri cervelli danno vita ad un nuovo sistema cognitivo integrato e quindi devono esser cosiderati cognitivi; quindi la nostra mente si estende al di là dei limiti fisici del cervello e del cranio.
La prima posizione può essere definita “internalista”, la seconda “esternalista”. A&A identificano come paladini dell'esternalismo:
  1. Daniel Dennett [Kinds of Minds]
  2. Andy Clark & David Chalmers [The Extended Mind]
  3. Merlin Donald [L'evoluzione della Mente]
  4. Edwin Hutchins [Cognition in the Wild]

In questo saggio A&A vogliono difendere il senso comune. In tutti i casi che conosciamo di uso di strumenti da parte degli uomini, i processi cognitivi interni al cervello interagiscono con processi non cognitivi del mondo esterno.

A&A vogliono sostenere quello che chiamano un “contingent intracranialism”. Concedono a C&C che l'essere interno al cervello non può esere il tratto distintivo del mentale e che quindi proprio il definire che cosa è il tratto distintivo del cognitivo è il passo necessario per stabilire i confini della cognizione. Ma una volta stabilita la cifra del cognitivo ci si accorge che, come fatto empirico contingente, tutti i processi cognivi umani sono interni al cervello. Una cognizione transcranica o extracranica è logicamente possibile ma, per quanto ne sappiamo della cognizione e del cervello umano, la possibilità che qualche strumento acquisti le proprietà cognitive dei nostri cervelli è piuttosto remota.


I tratti distintivi del cognitivo


Assunzione senza giustificazione: cognitivo come sottoinsieme di mentale; qualia lasciati da parte.

Due condizioni essenziali dei processi cognitivi:
  1. Gli stati cognitivi devono implicare un contenuto intrinseco, non-derivato.
  2. I processi cognitivi devono essere individuati causalmente come una categoria ben determinata.
Quindi A&A sostengono che, " secondo la nostra concezione ortodossa, la cognizione implica tipi particolari di processi che implicano rappresentazioni non derivate.”

L'analisi dei presunti casi di cognizione transcranica

Sottoponendo l'esempio delle tre modalità di gioco del Tetris (vedi mia scheda articolo di C&C) alle due condizioni proposte, ci si accorge - dicono A&A - che nella seconda modalità (quella della rotazione fisica) non ci troviamo di fronte ad un caso di cognizione transcranica. Infatti
  1. condizione: rappresentazioni non derivate.
    Nella prima modalità il soggetto usa rappresentazioni mentali non derivate, ma nella seconda modalità usa direttamente i blocchi sullo schermo computer, quindi nessuna rappresentazione nè intrinseca nè derivata.
  2. condizione:differenze nei processi.
    I processi implicati nelle prime due modalità sono chiaramente molto differenti.
La terza modalità è, secondo A&A, non ben specificata e quindi non va altro che intorpidire le acque. In ogni caso è possibile assimilare la 3 modalità alla 1 o alla 2, ma non a entrambe.

Per gli stessi motivi – e ancor più ovviamente - il modo in cui Otto e Inga arrivano a “ricordare” che il MOMA si trova nella 53rd strada non può essere considerato affatto simile. I “ricordi” di Otto non possono essere considerati tali, perchè i simboli sul suo blocco note presentano solo contenuto derivato. Inoltre i processi che portano alla recupero della “credenza nella memoria” è profondamente differente nei due casi.

Considerazioni simili possono applicarsi alla teoria degli exogrammi di Donald. Merlin Donald è molto più dettagliato di C&C sulle varie tipologie e caratteristiche delle rappresentazioni esterne. E illustra piuttosto bene le differenze tra engrammi ed exogrammi, quindi concorda con noi sulla differenza sostanziale tra i due; ma non considera che le rappresentazioni esterne hanno per forza un contenuto solo derivato; e non arriva alla conclusione che quindi non è possibile considerarle entrambe cognitive.

A&A si spingono ad accusare di comportamentismo i fautori della mente estesa: ogni cosa comportamentalmente equivalente ad un sistema cognitivo deve essere un sistema cognitivo.

Non mi sembra che l'internalismo di A&A si possa definire “contingente”. Mi sembra invece che sia la loro prima che seconda condizione rendono impossibile un processo cognitivo che sia extracerebrale. Se l'esternalismo è una possibilità logica, sarebbe interessante sapere da A&A in quale caso, sebbene non reale, potrebbe verificarsi.

Inoltre mi sembra che la loro posizione alla fine sia anti funzionalista.