domenica 25 marzo 2007

Daniel C. Dennett, Sweet Dreams

scheda del libro
Daniel C. Dennett,
Sweet Dreams. Philosophical Obstacles to a Science of the Consciousness,
A Bradford Book, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 2005


Con gli 8 saggi, pubblicati individualmente tra il 1999 e il 2001, Dennett torna, a distanza di un decennio, sul tema della coscienza per rispondere ai critici e puntualizzare la sua posizione esposta in Consciousness Explaned (1991).

A suo avviso la teoria regge piuttosto bene, anche se è necessario qualche rinnovamento e aggiustamento. In alcuni casi, si è tolto la soddisfazione di veder confermate empiricamente alcune sue previsioni sperimentali.

In realtà agli aggiornamenti della teoria viene dedicato uno spazio piuttosto limitato, mentre il grosso dello sforzo di Dennett è teso a contrastare le intuizioni dei “qualiofili” che negano la passibilità di una spiegazione funzionalistica della coscienza. Lo scontro si svolge tutto su un piano in cui appare difficile il dialogo, talvolta sembra uno scontro tra sordi, una guerra di religione, da una parte c'è l'appello alle nostre più intime intuizioni, dall'altro c'è il tentativo di sminuire, far svanire la loro forza.

Gli avversari di Dennett sono i “qualiofili”, i “mysterians”, i sostenitori dell'esistenza del “hard problem” o del “explanatory gap”, coloro che sostengono l'impossibilità di una spiegazione scientifica della coscienza o perlomeno di una radicale differenza tra la scienza della natura e una eventuale scienza della mente, cioè i vari Chalmers, Levine, Chomsky, McGinn, Searle, Nagel, ecc.

Alcune intuizioni che questi avversari propongono sono ben note e Dennett le fa discendere in gran parte dal capostipite di queste “intuition pump”, il Mulino di Leibniz:
  • la possibilità dello zombi, un individuo che si comporta in modo completamente e indistinguibilmente identico a un essere umano (sia nel comportamento sia in ogni analisi in terza perrsona che si possa fare del suo funzionamento interno) e che malgrado non abbia coscienza, non si provi nulla ad essere lui.
  • Mary, la scienziata che sa tutto del colore senza averli visti, che sicuramente apprenderà qualcos'altro quando per la prima volte ne vede uno.
Mi sembra che in effetti entrambi queste intuizioni non dimostrano in realtà nulla, postulino quello che vogliono dimostrare o come dice Dennett dimostrano non la forza d'immaginazione ma la povertà d'immaginazione di chi vi rimane intrappolato.

  1. Nel primo capitolo, “The Zombic Hunc”, viene mostrata l'inconcludenza dell'ipotesi dello zombi filosofico.
  2. Nel secondo capitolo, “A Third-Person Approach to Consciousness”, Dennett ripropone con molta chiarezza il suo approccio in terza persona alla auto-fenomenologia, l'eterofenomenologia, attraverso l'ipotesi di scienziati marziani che grazia alla combinazione di eterofenomelogia e atteggiamento intenzionale studiano la coscienza degli umani. Si potrebbe obbiettare: é possibile che qualcuno non cosciente abbia una teoria della mente? I neuroni-specchio non sono indispensabili nell'attribuzione di intenzionalità? L'atteggiamento intenzionale è comportamentista nel senso che si limita a ciò che è intersoggettivamente osservabile, ma non è comportamentista perchè da interpretazioni mentalistiche ad alcuni dati osservabili.
  3. Il terzo capitolo si chiama “Explaining the 'Magic' of Consciousness”.
  4. Nel quarto capitolo, “Are Qualia What Make Life Worth Living?”, si occupa dei quali e dell'interessante fenomeno della cecità ai cambiamenti. Leggere Rensink, R. A., O'Reagan J. K. , Clark, J. J., “To See or Not to See: The Need for Attention to Perceive Changes in Scenes”, Psychological Science 8 (5): 368-373
  5. Nel quinto capitolo, “What RoboMary Knows”, sostituisce alla scienziata Mary dell'esempio di Jackson il computer RoboMary per smontare la forza dell'intuizione che ci sia qualcosa nel colore altre a tutte le sue disposizioni causali. Dobbiamo abbandonare l'autofenomenologia perchè ci induce nella tentazione di di prendere le nostre convinzioni in prima persona non come dati ma come verità innegabile.
  6. Nel sesto “Are We Explaining Consciuosness Yet” e
  7. nel settimo capitolo “A Fantasy Echo Theory of Consciousness”, Dennett propone degli aggiustamenti del suo Multiple Draft Theory della coscienza. Si basa sempre sul pandemonio e sulle molteplici versioni, ma ora la coscienza viene paragonata alla “fama” che un pensiero può, più o meno brevemente, godere rispetto agli altri che si trovano nell'ombra.
  8. “Consciosness: How Much is That In Real Money?”

Dennett insiste nel sostenere che
  • “Non esiste una scienza in prima persona.”
  • “I metodi in terza persona delle scienze naturali sono sufficienti a indagare la coscienza altrettanto completamente di qualunque fenomeno naturale, senza nessun residuo significante”.


Dennett è impegnato nello sforzo smontare le intuizioni dei suoi avversari e si stupisce che le intuizioni personali possano avere un peso così grande nel contrastare un ragionamento. [interssante la nota 18 a pag. 22].
Inoltre nota come “controintuitivo” nel campo della filosofia della mente abbia una valore negativo, invece che positivo come nel resto delle scienze.
Spesso fa il paragone con le difficoltà che la teoria eliocentrica ha incontrato visto le contrastanti intuizioni geocentriche.

Ha in gran parte ragione, ma forse il paragone con la rivoluzione astronomica dovrebbe essere sviluppato più a fondo. Forse le intuizioni personali seguitano ad essere un forte ostacolo anche perchè, a differenza della teoria copernicana, la teoria della mente proposta finora, non è così completa, dettagliata e soddisfacente da essere un continuo e sicuro correttivo dell'apparenza.

Comunque al di là di alcuni aspetti sui qualia o sul ruolo poco approfondito di una coscienza prelinguistica, il punto su cui Dennett ha assolutamente ragione rispetto ai suoi critici e che mi sembra sia difficilmente eludibile è il seguente:
Qualunque spiegazione della coscienza che lascia al suo interno qualcosa/qualcuno cosciente in realtà non ha spiegato affatto cos'è la coscienza.

mercoledì 21 marzo 2007

Festival della Matematica

Ho seguito le seguenti conferenze nell'ambito del Festival della Matematica all'Auditorium.

Venerdì 16/03/2007
Sala Sinopoli ore 16
Lectio Magistralis di Douglas Hofstadter
"Come un matematico concepisce i numeri"


Sabato 17/03/2007
Sala Sinopoli ore 16
Lectio Magistralis di Michael Atiyah
"Bellezza e verita in Matematica"



Sabato 17/03/2007
Sala Sinopoli ore 18
Lectio Magistralis di John Barrow
"Questioni matematiche e teologiche"



Domenica 18/03/2007
Sala Petrassi ore 16
"Che cosa sono i numeri? La filosofia della matematica"
con Umberto Bottazzini, Carlo Cellucci, Giulio Giorello, Gabriele Lolli, Paolo Zellini e Armando Massarenti

Incontri al Chiostro con Douglas Hofstadter

Lunedì 12 marzo 2007 ho assistito alla presentazione del nuovo libro di D. Hofstadter I am a strange loop.

La manifestazione si svolgeva nell'ambito degli INCONTRI AL CHIOSTRO 2007 presso la Facoltà di Ingegneria a S.Pietro in Vincoli.

Come sempre Hofstadter è molto brillante. Non sapevo che parlasse così bene l'italiano.

domenica 18 marzo 2007

Filosofia della Scienza

Per ottemperare agli obblighi di dottorato e per colmare le mie lacune ho iniziato a seguire il corso della Prof.ssa Elena Gagliasso sul tema:
Tra corpo e mente: metodologie, ideologie e origine antropica.

Il corso, secondo modulo semestrale, è iniziato il 14 marzo 2007.

Questo secondo modulo, pensato per la laurea specialistica, si prefigge di sviluppare e approfondire il primo modulo (Evoluzionismo e sviluppo: il tema delle origini).
Si affronteranno i temi dell'integrazione mente/corpo nell'origine remota della specie umana.
Si cercherà di cogliere le implicazioni filosofiche, metodologiche e ideologiche delle diverse teorie dell'antropogenesi.

Alla luce delle teorie dell'evoluzione tra gli anni '60 ad oggi, il tema dell'emergere della coscienza e della cultura si differenzia in funzione dell'aumento esponenziale dei riscontri empirici (fossili) e grazie all'integrazione tra discipline (scienze della terra, genetica, biologia, linguistica) e permette di individuare diverse proiezioni del soggetto umano su se stesso, congruenti con diversi paradigmi culturali e teoretici.

Saranno esaminate criticamente le ragioni degli spostamenti tra diverse teorie dell'antropogenesi: ruolo della manualità e della prassi, dei sistemi alimentari, degli ecosistemi, della dispersione genetica, ipotesi monofiletiche e polifiletiche, modalità di integrazione delle trasformazioni, corporee e mentali, e ipotisi sull'origine del linguaggio sociale.


I testi che verranno analizzati sono i seguenti:

  • Pievani, Telmo, Homo Sapiens e altre catastrofi. Per un'archeologia della globalizzazione, Meltemi, Roma, 2002 (cap. 5, 6, 7, 8)
  • Leroi Gourhan André, Il gesto e la parola. Tecnica e linguaggio. La memoria e i ritmi, Einaudi, Torino, 1977 (cap. 7, 8, 11)
  • Deacon, Terrence W., La specie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello, Fioriti, 2001 (cap. 1, 11,12)
  • Celentano, Marco, Etologia della conoscenza. Per una teoria critica del comportamento umano, La Città del Sole, 2000, p. 384-407
  • Rotilio, G. "L'alimentazione degli ominidi fino alla rivoluzione agroforestale del neolitico" in G. Biondi, F. Martini, O. Rickards, G. Rotilio, In carne ed ossa, Laterza, Bari, 2006.

giovedì 15 marzo 2007

Merlin Donald, L’evoluzione della mente

(scheda del libro)
Merlin Donald, L’evoluzione della mente. Per una teoria darwininana della coscienza. Garzanti Milano, 2004
(titolo originale Origins of the modern mind, President and Fellows of Harward College, 1991)


Libro molto vasto e interessante, ma che mi sembra metta insieme fin troppe cose (alcune delle quali non so bene quanto fondate). Alcuni dei molti argomenti vengono affrontati troppo sbrigativamente, vengono citati molti studi ma di cui è difficile comprendere a pieno la portata e valutarne l’autorevolezza. Sembra un po’ il libro di un brillante ed erudito autodidatta che per costruire la sua originale ma un po’ eccentrica teoria prende a piene mai un po’ da per tutto . Comunque è sicuramente molto suggestivo e offre molti spunti di riflessione.

La tesi principale del libro è che la mente dell’uomo attuale si sia evoluta da quella dei primati attraverso una serie di grandi adattamenti, ognuno dei quali portò alla comparsa di un nuovo sistema rappresentativo. Ciascun nuovo sistema di rappresentazioni successivo si è conservato intatto nell’architettura mentale attuale: la nostra mente è quindi un mosaico delle vestigia cognitive dei primi stadi dell’evoluzione umana. La nostra mente non è una tabula rasa; la moderna struttura rappresentativa della mente umana racchiude in sé le conquiste sia di tutti i nostri progenitori ominidi sia di alcune specie di scimmie antropomorfe.

La comprensione della architettura cognitiva dell’uomo attuale è intimamente legata alla comprensione del processo evolutivo della cognizione umana.

Alcune delle struttura neuropsicologiche osservate nell’uomo attuale possono essere interpretate come il prodotto dell’evoluzione biologica e altre come l’imposizione di vincoli culturali e tecnologici sulla maturazione e sulla crescita neuropsicologica.

L’autore ipotizza che il passaggio dalle scimmie antropomorfe all’uomo moderno abbia implicato tre grandi transizioni:
  1. Dalla cultura delle scimmie antropomorfe e delle australopitecine a quella del Homo Erectus.
  2. Dalla cultura di Homo Erectus a quella di Homo Sapiens
  3. Il passaggio dall’oralità alla scrittura e la creazione della memoria esterna.


Cronologia dei mutamenti anatomici e culturali

La cultura episodica dei primati
  • La cultura delle antropomorfe è sottovalutata: hanno facoltà intellettive ricche e differenziate.
  • Gli scimpanzé possono riconoscersi allo specchio, i gorilla no.
  • Hanno una forma di coscienza e autorappresentazione.
  • Percepiscono eventi e situazioni (neuroni specchio?)
  • Occasionalmente sanno servirsi di strumenti e possono essere addestrati all’uso di segni (soprattutto ASL)
    • Non hanno impedimenti di carattere motorio o percettivo all’utilizzazione del linguaggio dei segni
    • Possono apprendere e usare anche due o tre segni insieme ma non vanno oltre
    • Il loro uso del linguaggio dei segni li rende delle perfette esecutrici skinneriane.
  • Ma non usano naturalmente segni e non sono in grado di inventare spontaneamente né segni né simboli.
  • Hanno capacità di vocalizzazione limitate
  • Non producono manufatti culturali duraturi e la loro cultura è statica e stereotipata
  • Il loro comportamento, sebbene complesso, appare non riflessivo, concreto, legato al contesto situazionale. La loro vita è vissuta interamente nel presente come una serie di episodi concreti (sembra il primo stadio dello stato di natura di Rousseau)

Viene fatta una distinzione che non ho capito bene tra memoria episodica e memoria procedurale.


La prima transizione: dalla cultura episodica alla cultura mimica
  • La cultura mimica è la prima cultura inequivocabilmente umana.
  • Essa sorge con Homo Erectus. Mentre non viene dato un posto particolare a Homo Abilis. Infatti è con Homo Erectus che si hanno grandi cambiamenti:
    • Uso di una varietà di sofisticati strumenti.
    • Espansione fuori della nicchia ecologica africana a tutto il continente eurasiatico.
    • Vaste aggregazione sociali per la cooperazione (per es. caccia)
    • Uso controllato del fuoco e cottura dei cibi
  • Per la formulazione delle caratteristiche della cultura mimica e delle capacità cognitive in assenza di linguaggio Donald fa spesso riferimento ai bambini in età preverbale, ai sordomuti analfabeti del passato, al caso di Frate John. In questi casi è presente:
    • Comunicazione intenzionale, rappresentazione mimica e gestuale, percezione categoriale, comprensione dei rapporti sociali, sofisticate capacità comunicative
  • E’ uno stadio fondamentale di passaggio tra la cultura delle antropomorfe alla cultura dell’uomo moderno. Viene chiamata mimetica dalla sua forma di rappresentazione predominante.
  • Le caratteristiche fondamentali della cultura mimica sono:
    • Capacità di inventare rappresentazioni intenzionali (anche autorappresentazioni [?]).
    • Le rappresentazioni mimetiche possono essere scomposte e ricomposte (generativismo)
    • Gli atti mimici sono pubblici e possiedono potenzialità intrinseche di comunicazione (comunicativa).
    • Capacità di distinguere l’atto mimico dal suo referente (riferimento).
    • Le rappresentazioni mimetiche possono modellare un numero illimitato di singoli eventi percettivi.
    • Le azioni mimiche sono riproducibili sulla base di stimoli interiori (endogenesi)
  • I portati di una cultura mimica sono:
    • Condivisione della conoscenza.
    • Addestramento, giochi, pedagogia
    • Coordinamento e suddivisione del lavoro
    • Ritualità
    • Capacità di riprodurre eventi e di rappresentarne la struttura
    • Estesa rappresentazione di sé e conseguente miglioramento del controllo motorio a livello conscio.
  • Mimica facciale e mimica vocale come casi particolari della cultura mimica.
    • Aumento dei muscoli facciali, aumento della capacità mimiche facciali
    • Il controllo volontario delle espressioni facciali dipende probabilmente da sensazioni propriocettive.
    • Controllo prosodico della voce come precedente logico di quello fonologico
    • Mimica vocale e facciale mezzo principale per espressioni delle emozioni
  • Il sistema di controllo mimico concepito come un centro di controllo superordinato, non direttamente motorio, è piuttosto un programmatore di azioni spiccatamente astratto. Ingloba, conserva, incapsula la rappresentazione episodica.
  • La rappresentazione mimica rispetto a quella del linguaggio simbolico è più lenta, limitata, ambigua. Ma serve a funzioni differenti ed è tuttora più efficiente per la diffusione di un certo tipo di conoscenza.

La seconda transizione: dalla cultura mimica alla cultura mitica
  • Tutte le popolazioni umane attuali possiedono il linguaggio verbale e una capacità semiotica altamente sviluppati.
  • Vantaggi evolutivi del linguaggio. Non tanto nell’adattamento all’ambiente (IV glaciazione) ma nella competizione fra sottospecie.
    • Una sola sottospecie dell’intera linea evolutiva ominide è sopravvissuta. A differenza degli altri mammiferi in cui più sottospecie possono coesistere in nicchie diverse, la specie umana a lungo non tollera altre sottospecie.
    • Interessante. E’ possibile misurare la distanza di homo sapiens dai suoi simili più prossimi e stabilire se tale distanza è decisamente maggiore di quella tra altre specie e sottospecie di mammiferi?
  • Per capire i vantaggi evolutivi del linguaggio è utile delineare i suoi primi usi.
    • In società molto primitive tecnologicamente notiamo linguaggi altamente sofisticati.
    • Fa da arbitro sociale.
    • Facilita la coordinazione delle attività tra vari individui.
    • Permette la condivisione di certe conoscenze pratiche.
    • Serve per la concertazione di piani e per decisioni collettive.
    • E’ invece di utilità limitata in molte attività pratiche, come l’industria litica in cui si impara più per imitazione. Provate a spiegare a qualcuno a parole come fare un nodo!
    • Nelle società tribali, il più elevato uso del linguaggio è nell’area dell’invenzione mitica, cioè nella costruzione di “modelli” concettuali dell’universo.
  • Mito si sviluppa assieme al concetto di causalità.
  • Il mito costituisce un tentativo di fornire spiegazioni causali, di predire, e di esercitare un’azione di controllo, e permea ogni aspetto della vita.
  • Quindi, benché utile come strumento sociale e tecnologico, il linguaggio venne utilizzato dapprincipio per la costruzione di modelli concettuali dell’universo umano; per permettere un pensiero integrato, una grande sintesi unificatrice di quelli che fino ad allora erano stati frammenti di informazione isolati.
  • L’uomo biologicamente moderno sviluppò il linguaggio in risposta alla pressante necessità di migliorare il proprio apparato concettuale, e non viceversa. [come pensano invece Dennett, Cimatti, ed altri].
  • I simboli linguistici arbitrari sono probabilmente derivati da un livello precedente e cioè la standardizzazione delle prestazioni mimiche, e cioè il gesto.
    • Gesti emblematici
    • Variano tra culture
    • Gesticolamento linguistico
  • Bruner distingue tra pensiero narrativo e pensiero paradigmatico. Quello narrativo si è sviluppato prima di quello scientifico e logico.
  • L’invenzione simbolica permette l’integrazione del repertorio eterogeneo e concreto della cultura mimica sotto il dominio della mitologia.
  • La costruzione di simboli ha richiesto:
    • Un adattamento dell’apparato fonologico (discesa della laringe, glottide più elastica, controllo volontario della respirazione [solo gli uomini lo fanno?]
    • Affinamenti nel sistema uditivo (retroazione nella regolazione del linguaggio, “reificazione” dei suoni)
    • Loop articolatorio.

La terza transizione: immagazzinamento dei simboli nella memoria esterna e cultura teoretica
  • La terza transizione è molto recente. Con essa si sviluppano caratteristiche che sembrano essere assenti nelle culture precedenti:
    • L’invenzione grafica
    • La memoria esterna
    • La costruzione di teorie.
  • A differenza delle prime due transizioni che dipesero da un cambiamento biologico, la terza transizione dipese da un cambiamento tecnologico.
  • L’invenzione grafica inverte l’importanza relativa di vista e udito.
  • Con la terza transizione si inizia a sviluppare il pensiero teoretico-scientifico, che ha sempre come primo passo un carattere antimitico. Le argomentazioni formali, la tassonomia sistematica, l’induzione, la deduzione, la verifica, la quantificazione, la teorizzazione sono tutti frutti della invenzione della scrittura.
  • La nuova cultura ha un’esistenza esterna alla mente biologica dell’individuo.
  • Caverne dipinte: non per abitare, temi fondamentali: caccia e fertilità (contiguità congruenza con pensiero mitico)
  • Importanza degli elenchi alla base dello sviluppo del pensiero teoretico. Gli elenchi funzionano molto meglio per iscritto che verbalmente.
  • La tecnologia della scrittura, sia quella cuneiforme, sia quella geroglifica, sia quella ideografica era all’inizio molto complessa.
    • Scribi piccolissima minoranza
    • Capaci di avere e gestire nella memoria biologica molte nozioni per l’uso di quella esterna.
    • Il 15 % delle tavolette cuneiformi ritrovate contengono elenchi lessicali di esercitazione per gli scribi.
  • Compito degli scribi non era solo quello di rendere il suono in forma scritta. All’inizio c’era una forte indipendenza tra le due.
  • Con l’alfabeto si ha un’enorme semplificazione e si crea uno stretto rapporto tra ciò che viene detto e ciò che viene scritto
  • Nella moderna cultura umana, coloro che svolgono attività intellettuale impiegano quasi sempre materiale simbolico esterno.
  • L’importanza dell’educazione e ella pedagogia nel formare individui in grado di usare l’enorme memoria esterna.
  • Nessuna spiegazione della capacità umana di pensiero che ignori la simbiosi tra memoria biologica e memoria esterna può essere considerata soddisfacente.


Cosa mi sembra interessante
  • Il tentativo di delineare una successione di architetture cognitive nella storia degli ominidi che si implementano uno sull’altra, con ognuna che supera e conserva quelle precedenti.
    • Una sorta di archeologia cognitiva.
    • Molte assonanze con il tentativo altrettanto suggestivo di Jaynes, anche se quest’ultimo si limita alla storia recente di homo sapiens (dopo neolitico) e questo forse era un suo limite.
    • Malgrado l’enorme diversità di ambito, mi sembra che si siano assonanze anche con l’architettura della sussunzione di Brooks nella costruzione di robot intelligenti.
  • La proposta di inserire una lunga e fondamentale modalità cognitiva tra quella delle scimmie antropomorfe e quella di homo sapiens.
    • Mi sembra importante cercare di delineare tutta una serie di abilità cognitive che si possano realizzare in assenza di linguaggio.
    • Assegnare al linguaggio la capacità di fondare tutte le differenza tra l’uomo e gli altri animali mi sembra una forzatura poco attraente dal punto di vista evoluzionistico e che assegna al linguaggio un ruolo quasi magico, cabalistico.
  • La centralità del concetto di rappresentazione nell’individuazione delle caratteristiche di ognuna delle culture ipotizzate.
    • Mi sembra essenziale approfondire il concetto di rappresentazione e le sue “sottospecie”
    • Rompere l’equivalenza tra rappresentazione e rappresentazione simbolica.
  • L’importanza e le caratteristiche della rappresentazione mimetica
  • La possibilità di cambiamenti nell’architettura cognitiva dovuti non solo o non tanto a cambiamenti biologici, ma a cambiamenti nell’utilizzazione “tecnologica” del hardware biologico.
  • Il mutamento intervenuto con la scrittura e la creazione della memoria esterna.
    • Il tema della simbiosi tra interno ed esterno nell’attuale cognizione umana.
  • Il carattere “non trasparente” della tecnologia scrittura ai suoi inizi; la possibilità di applicare ad essa le due fasi di sviluppo (infanzia/maturità, prodotti centrati sulla tecnologia/prodotti centrati sull’uomo) di cui parla Donald Norman.

domenica 11 marzo 2007

Donald A. Norman, Il computer invisibile.

Sheda del libro

Donald A. Norman, Il computer invisibile. La tecnologia migliore è quella che non si vede, Apogeo, Milano 2005
(titolo originale: The Invisibile Computer, The MIT Press, Cambridge Massachusetts, 1998)

      Libro dedicato alla situazione dell’industria informatica soprattutto dal punto di vista dell’organizzazione aziendale, ma con interessanti analisi sia sull’evoluzione della tecnologia in generale, sia sull’impatto che la tecnologia ha sulla nostra vita e sui nostri stili cognitivi.

      La distinzione fondamentale che viene fatta è quella tra prodotti centrati sulla tecnologia e prodotti centrati sugli esseri umani.

Prodotti centrati sulla tecnologia
  • Difficili da usare.
  • Poco affidabili.
  • Costosi.
  • Non trasparenti: richiedono l’attenzione costante dell’utente che deve concentrarsi sia sul compito che svolge sia sulla tecnologia che gli permette di svolgere tale compito.
  • Sono i prodotti che dominano nella prima fase di vita di una tecnologia.
  • Destinati ad una minoranza: gli innovatori, gli entusiasti delle nuove tecnologie, disposti a pagare in termini di tempo e denaro per le nuove possibilità.
  • Vengono pubblicizzati, venduti e acquistati per le innovazioni tecnologiche che incorporano e per le funzionalità che offrono
  • Nello sviluppo del prodotto hanno un ruolo predominante gli ingegneri ad assumere le decisioni; si cercano prodotti sempre più veloci, potenti e con nuove funzioni.
  • Sono in se relativamente semplici; tutta la complessità del loro uso è delegata all’utente

Prodotti centrati sugli esseri umani
  • Facili da usare.
  • Molto affidabili.
  • Poco costosi.
  • Trasparenti: non richiedono l’attenzione dell’utente che quindi può concentrarsi solo sul compito che sta svolgendo.
  • Hanno funzionalità limitate e standardizzate. Si differenziano non per la tecnologia che, essendo matura, viene data per scontata ma per aspetti quali il design, lo status, il piacere, convenienza economica.
  • Sono i prodotti che dominano la fase della maturità di una tecnologia.
  • Destinati al grande pubblico che non è particolarmente interessata agli aspetti ingegneristici.
  • Vengono pubblicizzati, venduti e acquistati per economicità, semplicità, status e emotività.
  • Nello sviluppo del prodotto hanno un ruolo predominante gli esperti dell’esperienza dell’utente e di accessibilità.
  • Sono prodotti molto sofisticati,ma la cui complessità non è visibile all’utente per il quale sno semplici da usare.

Fase iniziale e fase matura di una tecnologia


      Nelle fasi iniziali della vita di una tecnologia, i prodotti sono modellati sulle esigenze di consumatori tecnicamente sofisticati. Non importa se la tecnologia è difficile da usare, costosa o goffa; è appetibile fintanto che riesce a svolgere nuovi compiti difficilmente eseguibili altrimenti. ntocnologia è difficile da usare, costosa o goffo.
In questa fase, sono gli ingegneri e gli esperti del marketing a guidare lo sviluppo dei prodotti che vengono pubblicizzati e venduti sulla base dell’elenco delle funzioni che offrono; e ogni nuova versione del prodotto viene ingolfata di nuove funzioni.
      Quando una tecnologia matura le cose cambiano. Le loro prestazioni di base vengono date per scontate; i prodotti divengono semplici e affidabili; il numero delle funzionalità e delle opzioni disponibili diminuisce e le qualità che andiamo a cercare divengono: prezzo, prestigio, apparenza, convenienza. Il ruolo degli esperti dell’esperienza dell’utente nello sviluppo del prodotto diventa fondamentale. La tecnologia diventa davvero di massa. I prodotti costano poco e i margini di profitto si riducono.




Interessanti esempi
  • Fonografo: nella pubblicità dell’epoca si sottolineava quanto fosse necessario non scoraggiarsi se all’inizio non si riusciva a farlo funzionare e che con l’allenamento in qualche settimana ci si sarebbe riuscito.
  • Motori: Nel 1918 Sears Roebuck vendeva un “motore elettrico da casa”, insieme ad una serie di accessori, tra cui un ventilatore, un frullino per sbattere le uova, una macchina da cucire e un aspirapolvere: un solo motore cui poter attaccare diversi accessori.
  • Radio: confronta l’immagine qui sotto per rendersi conto delle difficoltà d’uso di un oggetto che oggi controlliamo tramite una sola manopola:il volume.
  • Aerei: osserva il grafico che mostra l’iniziale incremento e poi il progressivo decremento della complessità della carlinga degli aerei. Il picco massimo di complessità fu raggiunta con il Concorde alla fine degli anni ’70 (per un attimo si pensò addirittura di eliminare i finestrini di guida per lasciar spazio alla strumentazione), ora si va verso la cosiddetta “cabina di vetro”.
Il PC e l’industria informatica

      Il personal computer è forse la tecnologia più frustrante che sia mai stata realizzata. Il maggior problema del PC odierno risiede nella sua complessità intrinseca dovuta: a) al tentativo di realizzare un unico apparecchio in grado di compiere numerose attività diverse; b) alla necessità di avere un’unica macchina adatta per individui diversi; c) al modello commerciale dell’industria informatica.
      Il computer unico e multifunzionale non è altro che un grande compromesso in cui vengono sacrificati semplicità, facilità di utilizzo e stabilità in cambio del raggiungimento dell’obbiettivo tecnico di un singolo dispositivo tuttofare. Sull’odierno PC ogni compito viene eseguito in maniera abbastanza adeguata ma niente affatto eccellente.
      Conoscere l’utente è l’imperativo di ogni buon design; ma come si fa a conoscere l’utente quando il target è rappresentato da milioni di persone di età, situazione sociale, livello culturale enormemente differenti? I PC attuali vengono realizzati in modo indifferenziato per tutti i clienti, vengono immesse innumerevoli comandi e funzioni anche se l’utente medio non li utilizzerà mai. Nel tentativo di soddisfare abbastanza bene tutti, non viene soddisfatto in modo completo nessuno.
      Per poter continuare a prosperare, l’industria informatica deve sposare un modello commerciale basato sulla necessità di non dovere soddisfare i propri clienti; deve convincerli che l’hardware e il software che hanno comprato pochi anni prima in realtà è orrendo, inservibile e deve necessariamente essere sostituito da altri che nel giro di qualche hanno subiranno la stessa sorte. Deve realizzare prodotti sempre più veloci, potenti e ingolfati di funzioni. Iperfunzionalismo rampante o iperfunzionite: le funzioni vengono inserito spesso solo perché è tecnicamente possibile, fanno numero.(vedi confronti nelle riviste specializzate). Nathan Myhrvold una volta propose con una battuta scherzosa “la Prima Legge di Nathan”: “il software un gas che si espande per riempire tutto il contenitore”. MS Word nel 1992 conteneva ben 311 funzioni, molte di più di quanto un utente medio possa mai usare; ma nel 1997 ne conteneva ben 1033! Risulta così più facile da usare?
      Non è strano che la maggior parte degli utenti sono affascinati o angosciati dalla tecnologia e spendano un tempo enorme nella manutenzione del PC ben poco sui compiti a cui dovrebbe servire.
L’industria informatica è un’industria high-tech dominata dagli ingegneri che si è sviluppata enormemente grazie ad ampi margini di profitto, sfornando prodotti sempre più potenti, sempre più veloci sempre più complessi. Appare un’intera industria intrappolata nel suo stesso successo, incastrata in una ricerca di complessità sempre maggiore a cui non riesce a sfuggire. Non è facile per essa cambiare modo di procedere, raggiungere la maturità e passare allo sviluppo di prodotti centrati sull’utente e sul compito.
      Nella visione dei prodotti centrati sulla tecnologia si impone questa dicotomia:
Persone       Macchine
Vaghe       Precise
Disorganizzate       Ordinate
Soggetti a distrazioni    Non soggette a distrazioni
Emotive       Non emotive
Illogiche       Logiche
Ma nella visione dei prodotti centrati sugli esseri umani la dicotomia diventa:
Persone       Macchine
Creative       Prevedibili
Tolleranti       Rigide
Attente al cambiamento Insensibili al cambiamento
Ricche di risorse     Prive di immaginazione
      E’ necessario fondere gli aspetti positivi di entrambe le prospettive. Uomini e macchine insieme formano un team più potente di quanto possano fare separatamente.
Dopo i PC basati su interfacce a caratteri e quelli su interfacce grafici è’ ora di passare ad una terza generazione di PC, grazie alla quale le macchine scompaiono alla vista e noi possiamo tornare a concentrarsi sulle nostre attività e sui nostri obiettivi.


Verso gli infodomestici

Come un elettrodomestico è progettato per offrire una funzione specifica, così l’infodomestico è progettato per offrire una funzione specifica nell’elaborazione delle informazioni.
      Il pregio fondamentale degli infodomestici risiede nella loro semplicità d’uso. Attraverso un design adeguato, lo strumento diventa parte della funzione stessa, come se fosse l’estensione naturale del corpo di chi svolge un lavoro specifico. La specializzazione delle funzioni permette di venir incontro alle esigenze di eleganza, semplicità e concretezza richieste dall’utente comune. La complessità dello strumento è completamente nascosta all’utente normale che non si preoccupa di come funziona uno strumento fintanto che funziona. La tecnologia diventa trasparente e possiamo tornare a concentrarsi sulle nostre attività e sui nostri obiettivi.
      La specializzazione non significa che gli infodomestici buttano con l’acqua calda il bambino del vantaggio fondamentale del PC, ossia l’interscambiabilità dei dati fra un’applicazione e l’altra; infatti gli infodomestici debbono essere in grado di comunicare tra loro liberamente e senza sforzi (attraverso protocolli standard).
      Quindi i requisiti necessari per il diffondersi degli infodomestici sono:
  • Specializzazione e adeguatezza al compito prefissato
  • Sistema di comunicazione e condivisione dati a livello universale.
I microprocessori diventeranno sempre più ubiqui e invisibili; tutti i compiti non saranno più svolti sempre con tastiera, schermo e mouse (anche se non sono i più adatti); ci sarà una ridondanza di microprocessori (cosa che all’entusiasta delle tecnologie apparirà uno speco) un po’ come è avvenuto al motore elettrico per i normali elettrodomestici.

Infrastruttura. Merci sostituibili e insostituibili

      Esistono due tipi di merci, quelle sostituibili e quelle insostituibili. Le infrastrutture fanno parte di quest’ultime. Una volta stabilita una certa firma di infrastruttura diventa molto difficile , perfino impossibile, apportarvi cambiamenti o abbandonare una per un’altra. I sistemi operativi sono infrastrutture. Nelle infrastrutture vige la regola “chi vince piglia tutto”. Infrastrutture definite aiutano lo sviluppo di settori industriali (caso del GSM in Europa e arretratezza per mancanza di standard in USA. Oppure nelle radio sviluppo FM, per standard; e non AM per assenza)
      Le infrastruttura dovrebbero essere standard, aperte e libere.


Altro


      Nel complesso la coscienza umana evita di prestare attenzione alla routine quotidiana. L’elaborazione cosciente si occupa della non-routine, delle discrepanze e delle novità, di cose che vanno per il verso sbagliato. Come conseguenza diventiamo sensibili ai mutamenti ambientali e decisamente insensibili alle cose comuni, alla quotidianità.
Buona parte delle nostre attività è inconscia: ci accorgiamo dei nostri comportamenti allorquando c’è qualcosa che va storto o ci imbattiamo in qualche difficoltà.
Le cose che definiamo intuitive sono semplicemente capacità che abbiamo praticato per così tanti anni da non ricordare più quanto difficile sia stato apprenderle. (usare una matita, guidare un’automobile, parlare e comprendere il linguaggio, leggere e scrivere)

      “Tutto ciò che può essere inventato è stato già inventato” Charles H. Duell, Commissario degli Uffici Brevetti, USA, 1899. Questa affermazione da una parte ci fa sorridere, ma dall’altra contiene più verità di quanto potrebbe sembrare. I mutamenti avvenuti alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo furono ben più sostanziali e di larga portata rispetto a quelli a cui stiamo assistendo. Allora erano inventori, oggi siamo ingegneri –nel senso che miglioriamo ciò che già esiste. Cfr lo stupore di un uomo dell’inizio del XIX secolo trasportato all’inizio del XX con uno dell’inizio del XX trasportato all’inizio del XXI.

      Gli utenti non dovrebbero essere addestrati. I call-center di assistenza dovrebbero scomparire. Metto accidentalmente il dito tra le pale del ventilatore e mi incolpo perché sono stato stupido a infilarcelo. Vero, ma perché quel ventilatore è stato progettato in modo che ciò potesse accadere? Le tecnologie sono sviluppate per persone, gente ordinaria, che tendono a stancarsi, prestare poca attenzione; una corretta progettazione deve tenerne conto. Una porta correttamente realizzata specifica anche se vada spinta o tirata, fatta scorrere o sollevata, grazie alla disposizione delle maniglie, senza la necessità di cartelli o parole.




Perché alcune osservazioni di questo libro possono essere utili per la mia ricerca
  • Alcune tecnologie come il linguaggio e la scrittura possono aver cambiato l’architettura cognitiva della mente umana. Ma ciò è possibile solo se queste tecnologie raggiungono uno stadio maturo,una stadio in cui la tecnologia è completamente trasparente a chi la usa. La tecnologia è specifica, solida, prolunga l’io biologico e ad esso si adatta perfettamente in modo tale che l’individuo non cosciente di usarla.
  • La possibilità di considerare la cultura e la memoria esterna come naturale prolungamento della memoria biologica richiede un accoppiamento (interfaccia) costante, affidabile, facile, trasparente.
  • E’ interessante confrontare le riflessioni sulle fasi di una tecnologia con quanto viene detto da Marlin Donald nell’Evoluzione della Mente sulla difficoltà iniziali della scrittura (sia essa geroglifica, ideogrammatica o cuneiforme); dell’enorme numero di segni che potevano essere inseriti, dell’enorme bagaglio di informazioni e competenze che gli scribi doveva avere. Anche se qui non ci troviamo di fronte ad un prodotto, ma sicuramente ad una tecnologia.

giovedì 8 marzo 2007

Lezione del Prof. Dieter Lohmar su Husserl

Il 6 marzo 2007 dalle 12.30 alle 14.30 ho partecipato alla lezione per dottorandi tenuta a Villa Mirafiori dal Prof. Dr. Dieter Lohmar dell'Università di Colonia su
A History of the Ego. The concept of an originary Ego in Husserls late manuscripts (C-Manuscripts)