lunedì 14 maggio 2007

Robert A. Wilson - “Meaning Making and the Mind of the Externalist”

Robert A. Wilson,
“Meaning Making and the Mind of the Externalist”.
In R. Menary (ed.), The Extended Mind, Ashgate, di prossima pubblicazione.


(Riassunto dell'articolo)
L'originale può essere scaricato qui.


In questo articolo Wilson persegue due scopi:
  1. Riconcettualizzare il problema dell’intenzionalità alla luce della tesi della mente estesa.
  2. Offrire un nuovo argomento – chiamato “meaning making” in sostegno di tale tesi.


L’intenzionalità e la mente
Il problema dell’intenzionalità può essere riassunto così:
  • Esistono cose nel mondo che sembrano possedere una proprietà speciale, l’intenzionalità
  • Il problema dell’intenzionalità ha tre aspetti:
    1. che cosa è l’intenzionalità?
    2. quali cose possiedono intenzionalità e quali no?
    3. perché le cose che possiedono intenzionalità l’hanno proprio su una determinata cosa, perché proprio su quel tale contenuto?
Il problema dell’intenzionalità è stato molto dibattuto negli anni ’80, soprattutto all’interno di una visione naturalistica, cioè nel tentativo di fornirne una spiegazione in termini naturalisticamente accettabili; una spiegazione di intenzionalità grazie a nozioni a loro volta non intenzionali.
Teorie più diffuse: ‘informational semantics’ (Dretske), ‘causal theories of representation’ (Fodor), ‘biosemantics’ (Millikan).
Tra le cose che hanno intenzionalità troviamo sicuramente: linguaggio e pensieri. Ma anche segnali stradali, testi scritti, gesti, programmi di computer, ecc..
Sembra corretto affermare che tutta l’intenzionalità derivi dalla mente. Quindi la mente ha intenzionalità originale, le altre cose hanno un’intenzionalità derivata.
Wilson ritiene corretto ridurre tutto il problema dell’intenzionalità al problema dell’intenzionalità della mente, ma ritiene erroneo che in questo modo si riduce tutto a qualcosa che “sta nella testa”, poiché non è detto che tutto il mentale sia nella testa.


Esternalismo cognitivo e mente estesa
La posizione più comune nella breve storia della scienza cognitiva e in quella più lunga della filosofia della mente ritiene che la mente sia individuale, separata dall’ambiente fisico e sociale in cui la conoscenza avviene. I processi cognitivi non solo sono individuali, ma possono essere studiati come se l’individuo fosse l’unica cosa esistente al mondo [solipsismo metodologico di Fodor].
Questa prospettiva è stata rifiutata dagli esternalisti. Prime forme di esternalismo: argomenti di Putnam e Burge sull’adeguatezza di una visione individualistica della mente nello spiegare adeguatamente il significato o il contenuto mentale. Wilson chiama questo tipo: esternalismo tassonomico. Forme più recenti e radicali di esternalismo vengono chiamate:
  • ‘locational externalism’ da Wilson
  • ‘environmentalism’ da Rowlands
  • ‘extended mind thesis’ da Clark e Chalmers
Secondo queste forme di esternalismo i sistemi cognitive stessi si estendono al di là dei confini biologici degli individui e la psicologia individualistica può solo raccontarci una parte della storia: ‘the inside story’. Wilson ritiene che il suo wide computationalism (in Mind 103: 351-372 ) in è stato un primo tentativo in tale direzione. Tali forme di esternalismo sono radicali nel senso che:
  • Non si basano sulla differenza di contenuto di due stati intenzionali individuali; ma fanno appello alla natura stessa dei processi cognitivi che vengono ritenuti estesi nel mondo.
  • Non riguardano solo il modo in cui parliamo della mente, ma sono posizioni ontologiche su cosa è la mente.

Argomenti per la cognizione estesa

  • Argomenti riguardanti l’intenzionalità
    Quelli tradizionale di Putnam e Burge sul contenuto e quello che Wilson vuole proporre anche se quest’ultimopuò essre classificato anche all’interno di quelli sulla cognizione attiva.
  • Argomenti riguardanti la cognizione attiva
    Sono chiamati così perché fanno appello all’esercizio attivo delle capacità cognitive nel mondo reale (Clark, Haugeleand, Hurley, Rowlands, Wilson) e richiamano una serie di lavori nel campo della psicologia percettiva, da quelli di Ballare a quelli di Balalrd e O’Regan. Considerano fondamentale l’integrazione tra gli individui e il loro ambiente biologico e artificiale.
  • Argomenti riguardanti fantasie cyborg
    Dovuti principalmente a Clark, sono simili agli argomenti sulla cognizione attiva poiché ritengono che nell’esercizio delle capacità cognitive si stabilisce una sorta di loop causale che si estende al di là dell’individuo. Come non tutte le risorse usate per costruire un organismo sono genetiche (interne all’individuo), così non tutte le risorse (veicoli nella terminologia di Hurley e Rowlands) cognitive sono interne alla testa dell’individuo. Ma come quelli tradizionali di Putnam e Burge sono soprattutto delle ‘pompe di intuizione’; e immaginano di estendere le tecnologie attuali ad altre più futuristiche e più integrate nel corpo biologico dell’individuo. (Otto è il più conosciuto cyborg)



L’argomento che si basa sul “meaning making”
  1. Le menti sono macchine intenzionali o motori semantici.
  2. Le macchine intenzionali o i motori semantici rilevano e creano significato.
  3. La rilevazione e la creazione di significato implicano l’integrazione di risorse cognitive interne e esterne. [l’internalista non lo concederebbe]
  4. Le risorse cognitive interne sono parte della struttura della macchina intenzionale che rileva e crea significato.
  5. Le risorse cognitive esterne spesso giocano un ruolo funzionale identico o simile alle risorse cognitive interne nel rilevamento e nella creazione di significato. [l’internalista non lo concede]. Quindi,
  6. Le risorse cognitive esterne, come quelle interne, sono parte della struttura delle macchine intenzionali che rilevano e creano significato.
  7. La tesi della mente estesa è vera.
Poiché le premesse (c)-(e) sono simili a quelli di altri argomento esternalisti meritano una più attenta discussione.

Significato, risorse esterne, fondamentalità
L’argomento del “meaning making” può essere contraddetto in tre punti:
  1. Si potrebbero negare che le prime due premesse e ritenere che le menti non elaborano azioni o entità nel mondo
  2. La nozione di risorsa cognitiva esterna potrebbe essere considerata un ossimoro poiché le risorse cognitive sono sempre interne.
  3. Anche accettando i due punti precedenti si potrebbe sempre ritenere che sussista un’asimmetria tra risorse interne e esterne.

  1. La prima premessa rappresenta una petizione di principio?
L’idea che le menti siano macchine semantiche viene largamente accettata all’interno della comunità degli scienziati cognitivi. Stringhe sintattiche codificano rappresentazioni mentali che sono realizzate fisicamente nel cervello. Per i connessionisti che non sono eliminativisti sulle rappresentazioni mentali, si potrebbe dire che esse sono non proposizionali, subsimboliche o distribuite. Ma sia nella forma tradizionale sia nella forma connessionista, viene affermato che malgrado sussistano delle relazioni causali tra mondo e cervello, il significato è tutto interno alle menti, è intrinseco.
Wilson ritiene che tali concezioni sul significa e sulle rappresentazioni siano errate, ma qui si tratta di verificare se la prima premessa rappresenta una petizione di principio a favore della mente estesa. Secondo Wilson no, perché le premesse (a) e (b) possono essere interpretate in un modo neutrale rispetto a come operano le rappresentazioni mentali. Tutto ciò che deve essere concesso è:
  • Gli agenti hanno qualche tipo di rappresentazione mentale che giocano un ruolo nella percezione e nel comportamento.
  • Quali che siano tali rappresentazioni mentali, siano esse tutte nella testa o no, spesso sono provocate e provocano azioni, eventi e oggetti che non sono limitate alla testa.

  1. “Risorsa cognitiva esterna” è un ossimoro?
All’interno della filosofia della biologia negli ultimi due decenni c’è stato uno spostamento da una concezione prevalentemente centrata sui geni verso una concezione basata sulla teoria dei sistemi che si sviluppano (Developmental systems theory o DST)(Oyama), L’idea centrale della DST è che i geni sono solo una delle risorse dei sistemi che si sviluppano e quindi non devono essere considerati epistemologicamente o ontologicamente più fondamentali delle altre. Wilson propone che come è possibile estendere la DST a comprendere risorse esterne all’organismo così è possibile estendere la cognizione a comprendere risorse esterne all’individuo.


  1. Le risorse interne sono più fondamentali di quelle esterne?
Poiché il cervello è sempre necessario per l’attività cognitiva sia in collaboraione del mondo che senza di esso, mentre non è necessario che il mondo sia sempre presente, si potrebbe affermare che l’esternalismo è falsificato da questa asimmetria tra risorse interne ed esterne. Certo l’attività del cervello è sempre necessaria, ma questo non rende l’asimmetria sempre valida, in molti compiti cognitivi anche il mondo il necessario. Wilson fa due esempi: il bonobo Kanzi (integrazione di risorse simboliche) e la risoluzione di un puzzle (integrazione di risorse non simboliche). Importanza della società.


Ripensare il problema dell’intenzionalità
L’esternalismo ci permette una migliore concettualizzazione del problema dell’intenzionalità in almeno tre modi:
  1. Ampliando il concetto di rappresentazioni mentali sia a risorse interne che a risorse esterne, in realtà la tesi della mente estesa dissolve il problema delle caratteristiche essenziali del mentale.
  2. La tesi della mente estesa sposando una visione attiva della cognizione, sposta l’attenzione da ‘cose’ come le rappresentazioni ad ‘attività’, come l’atto del rappresentare, dal momento spesso motorie, corporee, e nel mondo.
  3. Quindi non cerchiamo più l’essenza delle rappresentazioni e ci focalizziamo sulle attività, ma la metodologia più appropriata in questo compito non è la tradizionale analisi concettuale ma un’indagine pluridisciplinare

1 commento:

Anonimo ha detto...

Thanks for writing this.